E se lo spazio-tempo fosse un superfluido?

Una suggestiva immagine della Nebulosa del Granchio, il residuo di una supernova esplosa nel 1054 distante 6500 anni luce dalla Terra. Sui fotoni provenienti da questa nebulosa, i ricercatori hanno cercato le prove sperimentali di uno spazio-tempo “superfluido” (Cortesia NASA, ESA, J. Hester, A. Loll/ASU)

Una nuova suggestiva teoria attribuisce allo spazio-tempo, il tessuto fondamentale che regge l’universo, le qualità di un liquido con una viscosità bassissima, cioè di un superfluido. Se fosse verificata, questa idea consentirebbe di conciliare la meccanica quantistica con la teoria generale della relatività, un obiettivo che i fisici teorici inseguono da decenni. Le misurazioni astrofisiche per ora non hanno rilevato segni di superfluidità dello spazio-tempo, che si evidenzierebbe con una perdita di energia dei fotoni molto energetici che provengono da regioni remote del cosmo come la Nebulosa del Granchio.

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L’universo ha uno scopo? Risponde Neil DeGrasse Tyson

“Non ne sono sicuro. Ma chiunque esprima una risposta più definitiva a questa domanda asserisce di avere accesso a conoscenze che non hanno basi empiriche. Questo modo di pensare, sorprendentemente persistente, comune alla maggior parte delle religioni e ad alcune branche della filosofia, ha fallito pesantemente nei propri passati tentativi di capire, e pertanto predire, il funzionamento dell’universo e il nostro ruolo in esso.”

Leggi l’articolo completo: http://attivissimo.blogspot.it/2012/11/luniverso-ha-uno-scopo-risponde-neil.html

Agli albori dell’Universo

Circa sei anni fa ho scritto un post intitolato Distanze in cui facevo alcune riflessioni su una immagine, denominata UDF (Ultra Deep Field), scattata dal telescopio spaziale Hubble ad una minuscola porzione di cielo apparentemente vuota, che è situata nella costellazione Fornace.
Lungi dall’essere vuota, quella porzione di cielo ha mostrato la presenza di migliaia di galassie, le più antiche delle quali risalgono ad appena 800’000’000 di anni dopo la nascita dell’Universo.

Ora Hubble ha fatto un ulteriore passo avanti (o indietro nel tempo, se vogliamo).

Combinando assieme 10 anni di fotografie di un pezzettino ancora più piccolo di cielo, all’interno dell’ UDF, ha ottenuto un’immagine ancora più spettacolare, chiamata questa volta XDF (eXtreme Deep Field).
In questa immagine si riescono a vedere galassie di una luminosità debolissima, le più deboli delle quali hanno una luminosità di un decimiliardesimo della minima luminosità che l’occhio umano può vedere.

XDF è l’immagine del cielo più profondo mai ottenuta e rivela le galassie più deboli e più distanti mai viste.

L’universo ha 13.7 miliardi di anni, e XDF mostra galassie vecchie di 13.2 miliardi di anni. La maggior parte delle galassie appaiono come erano da giovani, piccole, e in crescita spesso violenta  a seguito di collisioni e fusioni reciproche.
L’universo primordiale era un momento di nascita drammatica per le galassie con la presenza di stelle straordinariamente più luminose del nostro Sole.
La luce di quegli eventi passati è appena arrivata sulla Terra, e così  XDF è come un tunnel temporale che arriva nel lontano passato. La più giovane galassia trovata esisteva appena 450 milioni di anni dopo nascita dell’Universo con il Big Bang ed è la più antica galassia mai scoperta fino ad oggi.

Questo record è però destinato ad essere superato non appena Hubble verrà sostituito col nuovo telescopio spaziale Webb che riuscirà a vedere galassie ancora più deboli e a spingersi così fino a poche centinaia di milioni di anni dalla nascita dell’Universo, quando la luce cominciava faticosamente ad emergere fuori dall’impenetrabile magma primordiale.

 

Rif: Hubble Goes to the eXtreme to Assemble Farthest Ever View of the Universe

Distanze

Riprendo un articolo letto su un sito in inglese: How Hubble killed God… .

Era mia intenzione scrivere qualcosa del genere già da tempo, ma le circostanze me lo avevano sempre fatto rimandare.
L’articolo in questione ha un approccio all’argomento più teosofico che astronomico e, per quanto ne condivida in parte le argomentazioni, non è questo il punto che vorrei sottolineare.

Il 9 marzo del 2004 la NASA ha pubblicato una fotografia ripresa dal telescopio spaziale Hubble.
A parte l’ambito astrofisico e astrofilo, questa immagine non ha avuto un grande impatto sulla maggior parte delle persone e dei media, ed è un vero peccato perché siamo di fronte a un evento di assoluta eccezionalità che varrebbe la pena di conoscere ed approfondire.

Se in una notte serena alziamo gli occhi al cielo, inquinamento luminoso permettendo, potremmo riuscire a contare al massimo 2500 stelle.

Sono tutte stelle che fanno parte della Via Lattea, la galassia nella quale ci troviamo. In realtà la Via Lattea conta all’incirca 200 miliardi di stelle (miliardi, non milioni) e il suo diametro è approssimativamente di 100’000 anni luce.
La stella più vicina a noi è Proxima Centauri che dista circa 4,5 anni luce.
Per anno luce, sappiamo ormai tutti, che si intende la distanza percorsa dalla luce in un anno (se volete la distanza in Km potete farvi un rapido calcolo sapendo che la velocità della luce si aggira sui 300’000 Km al secondo!).
Questo vuol dire che se guardiamo Proxima Centauri al telescopio la vediamo oggi come era più di quattro anni fa. In pratica stiamo guardando al passato di quella stella.
Attualmente la velocità massima raggiungibile da una astronave è inferiore ai 100’000 Km/h, che vorrebbe dire che ci servirebbero circa 50’000 anni per raggiungerla (secolo più, secolo meno).
Immaginate il vostro vicino che sta al di là della strada e voi dovete impiegare 50’000 anni per andargli a chiedere lo zucchero in prestito. 😕  E poi dovete anche tornare a casa!

Se, dopo aver guardato le stelle, fissiamo una piccola area che appaia completamente vuota tra di esse, potremmo dire di star facendo una cosa senza molto senso, visto che lì non c’è nulla.

Invece è proprio quello che ha fatto il telescopio spaziale.
In 400 orbite intorno alla Terra, Hubble ha scattato 800 fotografie di una stessa porzione vuota del cielo, pari appena ad un decimo della Luna, variando le lunghezze focali per ottenere alla fina una immagine combinata dello spazio più profondo che, lungi dall’essere vuoto, ha mostrato una incredibile densità di oggetti celesti.

Questa immagine è conosciuta come Hubble Ultra Deep Field (UDF).
Tutto ciò che si vede non sono stelle, sono galassie. Sono tutte galassie. Sono circa 10’000 galassie comprese tutte in un pezzettino minuscolo di cielo.
Le più dettagliate distano da noi circa un miliardo di anni luce, vediamo cioè come erano quelle galassie un miliardo di anni fa. Quelle meno definite sono galassie che vediamo come apparivano appena 800’000’000 di anni dopo la nascita dell’universo, vale a dire 12 miliardi di anni fa!

Ognuna di queste galassie è composta a sua volta da centinaia di miliardi di stelle e la parte di cielo che questa superba immagine ci mostra è solo una porzione 13 milioni di volte più piccola dell’intera volta celeste! Questo dovrebbe darci una pallida idea su quanto grande sia in realtà il nostro universo. Altro che le 2500 stelle che vediamo (male per giunta).

Se volete dare un’occhiata ancor più nel dettaglio a questa immagine collegatevi a questo link: http://www.aip.de/groups/galaxies/sw/udf/swudfV1.0.html

Se l’universo è stato creato in funzione dell’uomo, come sostengono i credenti, appare evidente una certa sproporzione tra l’obiettivo della creazione e la sua implementazione.
C’è, come minimo, uno spreco di risorse. E di tempo anche, visto che sono occorsi quasi 13 miliardi di anni per arrivare a noi.
Nulla impediva al creatore di fare un piccolo o grande pianeta e circondarlo di una sfera nera sulla quale disegnare miliardi di puntini luminosi se la funzione era solo quella di una semplice decorazione notturna a uso dei romanticoni innamorati.
Avrebbe speso meno, impiegato meno tempo e avrebbe ottenuto la stessa attenzione da parte dei suoi fedeli, vale a dire nulla impegnati come sono a farsi la guerra in suo nome.

Paradossalmente sono più gli atei come me a incantarsi davanti alla potenza del loro Dio.