La ragazza di Vermeer conquista l’Italia

Mancano ancora tre settimane alla mostra bolognese «La ragazza con l’orecchino di perla», con l’omonimo dipinto di Vermeer al debutto assoluto in Italia, ma le prenotazioni sono già a livelli record.

Leggi l’articolo completo: http://www.lastampa.it/2014/01/22/societa/la-ragazza-di-vermeer-conquista-litalia-ssFxqB3sOLrTgrgEW2JMoN/pagina.html

Io, per non sapere ne’ leggere ne’ scrivere, me la son fatta da per me e la vedo tutti i giorni 😛

La mia versione della Ragazza di Vermeer

Girl with a pearl earring

Left: Jan Vermeer – Girl with a pearl earring
Right: Bruno Berti – My version (2004)

Il Vermeer terminato

Nel ringraziare tutti gli amici che si sono complimentati per la versione monocromatica del dipinto, devo dire che invece io non ero molto soddisfatto. Il disegno era peggiorato e non mi trasmetteva nessuna particolare emozione. Quando avevo iniziato il dipinto non avevo intenzione di fare una copia perfetta, volevo solo vedere fin dove potevo arrivare. Ma volevo anche qualcosa che mi trasmettesse emozioni. Volevo qualcosa che mi facesse dimenticare di averlo fatto io e poter dire che era bello di per sé. Però ormai ero in ballo e tanto valeva proseguire. Così mano ai colori.

Fino a quel momento avevo usato colori acrilici, adesso passavo all’olio.

I colori ad olio normali asciugano troppo lentamente per i miei gusti e, per la tecnica che stavo usando, non erano ideali. Ho optato perciò per i colori alchidici: completamente compatibili con l’olio, ma decisamente più veloci nell’asciugare. La tecnica utilizzata prevede di fare leggere velature trasparenti sulla base monocromatica, oppure leggere sfregature di colore secco (tecnica mangia-pennelli, soprattutto se usata su una base ruvida come la mia). Questa tecnica lascia intravedere i colori sottostanti ed è di particolare impatto visivo se ben applicata. Si possono applicare tanti strati quanti si vuole, anche di diverso colore.

Ci sono pittori che avanzano nel lavoro completando progressivamente le varie parti del dipinto, così ad un certo momento si può avere mezzo dipinto finito e mezzo no. Io invece preferisco avanzare contemporaneamente in tutte le parti, così i miei quadri non sono mai terminati (fino a che non lo decido io), ma hanno un aspetto uniforme in ogni stadio della lavorazione.

Questo sopra è come appariva il dipinto dopo una prima stesura dei colori e dove si intravedono ancora i grigi della base monocromatica.

Fare vedere i successivi stadi di avanzamento è praticamente inutile perché le differenze, tra uno stadio e l’altro, sono talmente sottili da risultare impercettibili. Un po’ come un bambino che cresce: giorno dopo giorno non vediamo differenze, poi ci accorgiamo che è adulto.

Comunque in questa fase non ho perso di vista il disegno e ci sono tornato sopra correggendolo quando l’ho ritenuto opportuno.

Fino a che un giorno ho detto:

cavolo, ma questo l’ho fatto io?

Il dipinto era finito (e qui sotto vi mostro il dettaglio del viso).

Purtroppo la digitalizzazione delle immagini non rende giustizia ai veri colori e al loro contrasto (le labbra non sono così rosse e lo sfondo appare nero), ma il senso c’è.

Questo dipinto adesso fa la sua porca figura in camera da letto, e guardarlo mi emoziona ogni volta.

Chi è questo pittore? Berti? Boh!… mai coverto.

Vermeer (3)

Una volta definito il disegno, è ora di iniziare a usare i colori. Il disegno è importantissimo. Non bisogna illudersi che si possa accettare un cattivo disegno con l’idea che tanto poi lo si corregge col colore. E’ meglio pasticciare prima con la matita e la gomma che pasticciare dopo coi colori.

A questo punto devo decidere quale tecnica utilizzare. Dopo aver ben ponderato la cosa, e considerando che la mia tela non è trattata, decido di proseguire con i colori acrilici (per aumentare la copertura sulla tela) in una versione monocromatica del dipinto. Successivamente userò il colore in strati leggeri sul monocromo. Le motivazioni che stanno dietro alla scelta di questa tecnica sono sostanzialmente due. Una legata al fatto che questa tecnica è antica e probabilmente Vermeer ne ha utilizzata una simile; l’altra invece è legata al fatto che ancora non sono completamente soddisfatto del disegno, quindi, in pratica, in questo modo continuo in un certo senso a disegnare col pennello invece che con la matita. Il colore verrà poi.

Inizio col bianco e lo metto nei punti critici del disegno (quelli che non si dovranno mai spostare durante la pittura): riflesso di luce negli occhi e angoli della bocca soprattutto.

Proseguo poi con un bruno scuro molto diluito sopra le aree in ombra, mentre le sfumature sul viso le ottengo usando il pennello bagnato con acqua pura sopra il disegno a matita, facendo così fondere la grafite rendendo il tutto più morbido. Disegno con attenzione le iridi.

Questo è un momento critico perché l’introduzione del colore porta ad un disfacimento progressivo del disegno originale e subentra la paura di non riuscire a controllare il processo. Al contrario di ciò che pensano molti, il dipingere non è un processo creativo. In realtà è un processo di continue correzioni fino al raggiungimento della soluzione meno peggio. Una definizione calzante la dà una citazione (di cui non ricordo l’autore): … qualcuno mi uccida prima che finisca di rovinare del tutto il mio dipinto.

Dopo questo primo approccio con colori puri, inizio a stendere strati successivi (sempre molto leggeri) ripassando di nuovo nelle aree già colorate e mescolando anche tra loro i due colori che utilizzo (bianco e bruno) per le sfumature del viso e del vestito.

La prossima volta inizierò a colorare.

Vermeer (2)

Proseguiamo la nostra Ragazza con orecchino di perla.

Una volta presa confidenza con la struttura del disegno in un piccolo schizzo, ritengo in genere opportuno rifare il disegno su carta a grandezza naturale, per abituare la mano a lavorare sui rapporti reali tra le varie parti e rivedere soprattutto la composizione. In questo caso salto questo passaggio perché la composizione è già stata decisa da Vermeer.

E’ ora quindi di tirare fuori la tela.

Come ho già detto, questo era un dipinto nato per aderire ad una iniziativa su internet. Era più che altro una sfida o un gioco, senza troppe pretese di arrivare ad un risultato decente. Non mi andava quindi di sacrificare una tela nuova e di qualità. Ho deciso perciò di utilizzare la tela rovesciata di un vecchio dipinto (meglio dire crosta). Per chi non se ne intende bisogna sapere che le tele usate per dipingere sono coperte da un lato da uno strato di gesso e colla su cui si dipinge, mentre il lato opposto è lasciato grezzo. Rovesciare una tela vuol dire staccarla dal telaio, girarla dalla parte non trattata e reinchiodarla sul telaio. Se si vuole dipingere ad olio (ed è questo il caso) non si può però dipingere sulla tela grezza perché l’olio contenuto nei colori è aggressivo nei confronti del lino della tela e alla lunga lo corrode (anche per questo le tele sono trattate). Avrei dovuto quindi rifare io lo strato di gesso e colla sulla parte non trattata. Ma io (lo avrete capito) sono un po’ vagabondo e non avevo voglia di perderci del tempo perciò ho deciso di passare prima sulla tela alcune mani di bianco acrilico (l’acrilico è un’ottima base per dipinti ad olio) e poi passare un’ulteriore mano di grigio chiaro. Utilizzare una base non bianca aiuta a valutare meglio le tonalità e i colori. Il risultato finale è una tela sulla quale è piacevole dipingere, ma con una trama in evidenza maggiore rispetto al trattamento a gesso (che fornisce una superficie più liscia). Se poi aggiungiamo che la tela utilizzata era di bassa qualità (quindi con trama più grossa del normale) si capisce che alla fine mi ero complicato la vita (brutta cosa essere vagabondi): dipingere un soggetto così delicato in un supporto così grossolano, pieno di grumi, pelucchi e piccoli avallamenti, non sarebbe stata una passeggiata.

Ma quando il gioco si fa duro… il gioco si fa duro.

Il passo successivo è stato quello di rifare il disegno, con molta maggiore attenzione rispetto allo schizzo, direttamente a matita sulla tela. Anche qui (come nello schizzo bisogna considerare le dimensioni del dipinto – 40×45 cm – rispetto alla tela in mio possesso – 40×50 cm): ho dovuto quindi prima di tutto delimitare l’area del disegno al centro della tela. Le parti eccedenti, in alto e in basso, le avrei fatte eventualmente ricoprire dalla cornice.

Siccome l’espressione di un volto dipende in massima parte dagli occhi, ho fissato prima di tutto la posizione delle due pupille, misurando e rimisurando la loro distanza relativa e la posizione nella tela. Attorno alle pupille ho provveduto poi a fare il resto della figura. In questa occasione ho fissato anche altri punti critici, come gli angoli della bocca. Ho poi provveduto a una prima sfumatura delle ombre del viso.

Come previsto, la tela ruvida non mi ha permesso un dettaglio fine del disegno e mi ha creato problemi proprio dove avrei voluto la massima precisione (occhi e bocca). Però mi ha costretto a sintetizzare maggiormente la forma permettendomi una maggior consapevolezza delle difficoltà da affrontare.

Ciao, alla prossima sessione.